Il governo vuole creare una forza speciale per la cybersicurezza nazionale
Una forza di pattugliamento e intervento cibernetico. Come se fossero navi a difesa delle acque territoriali, o caccia nei cieli. Ma fatta di militari in grado di controllare lo spazio digitale. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha sottolineato la necessità di creare un’Arma dedicata e una nuova legge che doti le Forza armate di creare una barriera cyber per l’Italia. “La sicurezza dello Stato è continuamente messa a repentaglio da una competizioni tra nazioni e attori non statuali, pur rimanendo sotto la soglia dell’attacco fisico”, ha detto Crosetto. E quindi all’Italia serve una forza “di deterrenza”. Capace di agire “a 360 gradi”. Un piano ambizioso, tutto da costruire, ma con un ostacolo: “Con 240 mila euro (il tetto agli stipendi, ndr) sulla cyber non trovi neanche il più sfigato degli hacker”.
Crosetto chiede un approccio senza colore politico: “È una questione fondamentale”
Crosetto giovedì ha presentato il suo piano in commissione Difesa alla Camera. Ai deputati, il ministro ha chiesto di affrontare la questione in Aula, e “senza colore politico, perché è un atto fondamentale per il nostro Paese”. Il ministro parte da una constatazione: in ogni momento del giorno la sicurezza dello Stato è messa a repentaglio.
È quella che viene definita guerra ibrida. Alternativa digitale, ma reale, alla guerra cinetica, ai carri armati, alle invasioni territoriali. Una guerra che negli ultimi anni ha raggiunto nuovi stadi di evoluzione con il contribuito offerto dall’AI e dai bot. E che in futuro potrebbe avere nuovi gradi di evoluzione con i computer quantistici, in grado di mettere in campo strumenti capaci di aggirare anche livelli avanzati di crittografia. Per Crosetto è il momento di dotare il Paese di una forza militare di muoversi nel cyberspazio. E con efficacia.
La “totale contraddizione” dell’Italia: non si possono difendere solo le reti militari
In Paesi alleati come Usa, Regno Unito, Francia e Germania, esistono già intere sezioni delle Forze Armate che “rappresentano punti di riferimento nazionali” nella difesa cyber, ha aggiunto. Negli Stati Uniti, per esempio, c’è la United States Cyber Command, fondata nel 2010, che opera con la National Security Agency. In Israele la Unit 8200 fa la stessa cosa con l’Idf, le forze armate. Così come la National Cyber Force britannica o il Commendement de la cyberdéfence francese. Come esistono anche “competitor internazionali senza scrupoli”.
L’Italia vive invece una “totale contraddizione”, e cioè che rispetto ai 4 pilastri della Strategia nazionale, “quello della difesa cibernetica è rivolto sostanzialmente alla protezione delle sole reti militari”, dal Comando per le Operazioni di Rete. Ma non basta. Dal punto di vista cyber l’Italia è esposta su molti fronti: aziende, dati dei cittadini, infrastrutture, servizi essenziali. Quindi “se il rappresentante di uno Stato estero o un terrorista invade lo spazio cyber attaccando centrali elettriche, ospedali o trasporti i quattro pilastri dovrebbero coordinarsi per addivenire a una ipotesi strutturata di azione”. Ancora: “Se in Italia arriva un missile io intanto lo abbatto, e poi vedo chi è – ha detto ancora – Nella materia cyber, invece, essendo una cosa che sembra immateriale, la Difesa l’abbiamo annacquata. E io ritengo sia sbagliato”.
Il problema del tetto agli stipendi: “Così non prediamo nemmeno il più sfigato degli hacker”
Crosetto chiede invece di “legittimare le forze armate all’uso di strumenti cibernetici”. Sia in risposta a crisi della difesa che a “operazioni promosse in concorso con le autorità civili”. Un allineamento totale “al comparto intelligence”. Per farlo serve quindi “una forza competente e consistente, un presidio di livello e massa che si raggiunge solo investendo in gestione e difesa che coinvolga anche il settore privato”. Un’Arma capace di deterrenza, cioè di avere la forza e la capacità di colpire, eventualmente, chi ti ha colpito. Nel mondo fisico la deterrenza è data “dal nucleare Usa”, in quello cyber “non abbiamo un ombrello, e dobbiamo farcelo da noi”.
Ma c’è un problema non da poco: il tetto a 240 mila euro delle retribuzioni pubbliche per Crosetto “va bene per prendere qualche voto, non per avere le migliori competenze. Con 240 mila euro non trovi neanche il più sfigato degli hacker”. Tanto più che tra i più bravi del mondo, ha spiegato il ministro, ci sono proprio gli esperti italiani “e non ce n’è uno che ha interesse a lavorare in Italia” perché altrove sono pagati molto meglio. I rischi di un attacco hacker ben assestato sono concreti: “Il giorno in cui entrassero nell’Inps e gli italiani non prendessero la pensione per un mese, o facessero scomparire i conti correnti, scoppierebbe la rivoluzione: non c’è bisogno di fare attentati”.
Bisogna però fare in fretta: “Non c’è un giorno – ha aggiunto il ministro – che non arrivi una scoperta, una notizia, potenzialmente rivoluzionarie. Dovremmo pensare a canali di procedure accelerate”, perché “vedo male l’utilizzo del decreto legge” ma “non si può avere un dibattito di un anno o due. E’ un tempo in cui cambiano anche le premesse da cui il dibattito era partito”. In questo quadro c’è da chiedersi cosa ne sarà dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. Istituita ad agosto 2021, forse potrebbe già cambiare pelle.
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